Compie oggi ottanta anni il Rabbino Prof. Giuseppe Laras , figura centrale per il mondo ebraico in questi decenni come ampiamente approfondito nell'articolo di Vittorio Robiati Bendaud che segue,tratto dal sito della Comunità Ebraica di Milano alla guida della quale il Rabbino Laras approdò, iniziata la propria carriera ad Ancona, provenendo proprio da Livorno.
Nella nostra città il segno lasciato da Rav Laras è indelebile e in ogni occasione nella quale ha potuto da noi è tornato, mantenendp quindi sempre un forte legame ricambiato con stima e grande affetto.
Risale al 1968 l'assunzione della cattedra rabbinica livornese da parte sua, essendo mancato l'anno prima Rav Bruno G.Polacco (z.l.), quella cattedra che prima era stata di Samuele Colombo (z.l.) e poi di Alfredo S.Toaff (z.l.) : alla sua partenza per Milano,nel 1980, l'incarico labronico verrà assunto da Rav Isidoro Kahn (z.l.).
Rabbino Capo a Milano sino al 2005, nel 2011 riassume la carica presso la Comunità di Ancona , dopo essere stato anche, per sette anni,direttore del Collegio Rabbinico Italiano, per molti anni Presidente dell'Assemble Rabbinica Italiana e di Tribunali Rabbinici (attualmente quello del Centro Nord Italia).
Figura di enorme e invidiabile spessore culturale , non solo in ambito ebraico come ben descritto nell'articolo citato,è autore di numerosi saggi.
Anche nel campo del dialogo interreligioso il periodo livornese appare fondamentale nella biografia di Rav Laras, grazie all'intensa collaborazione e amicizia con il Vescovo Alberto Ablondi, amico indimenticabile del mondo ebraico,con il quale manterrà sempre continui e profondi contatti.
Ecco perchè, già da questi sommari accenni, è possibile rivolgere i più sinceri auguri a Rav Laras dalla "sua Livorno" che lo attende, speriamo di poter presto indicare la data, per festeggiarlo e presentare l'ultima sua pubblicazione, invitato dal Benè Berith "Isidoro Kahn" che, significativamente e anche per l'amicizia con lo scomparso Presidente Piero Shemuel Cassuto (zl),egli volle inaugurare nel 2009 con un proprio intervento.
Ad me'ah ve'esrim shanah – עד מאה ועשרים שנה,sino a centoventi anni, secondo la tradizionale formula augurale ebraica.
Gadi Polacco
www.livornoebraica.org
Foto : 2009, l'intervento del Rabbino Laras per l'inaugurazione del Benè Berith. Accanto a lui Piero Shemuel Cassuto e Mons. Alberto Ablondi (sia il loro ricordo per benedizione)
L'ARTICOLO DAL SITO DELLA COMUNITA' EBRAICA DI MILANO
Qol Yosef, la voce di Laras
Di:
Vittorio Robiati Bendaud
06/04/2015 Milano
Un
uomo che ha segnato quarant’anni dell’ebraismo italiano e che ha
ordinato numerosi rabbini; il grande propulsore del dialogo
ebraico-cristiano; l’intellettuale ebreo, studioso del pensiero ebraico,
noto a laici e religiosi, anche fuori dai confini italiani ed europei.
Ecco che significa festeggiare gli ottant’anni di Rav Giuseppe Laras, il
6 aprile 2015.
Scrivere di Rav Laras in occasione del suo ottantesimo compleanno non è
facile, perché è difficile selezionare che cosa dire, data la mole di
informazioni, eventi, studi, prese di posizione che lo riguarda, non
solo in lingua italiana o in lingua ebraica.
È anche difficile perché l’uomo non è un tipo facile: è timido,
riservato, poco incline alle confidenze, talvolta scontroso, burbero e
persino intrattabile, certamente esigente; ma, al contempo, è anche
ironico e pieno di sense of humour, profondamente buono e
dall’intelligenza vivace, ben disposto e comprensivo verso la fragilità e
le difficoltà delle persone, naturalmente elegante di un’eleganza
demodé e un po’ “stropicciata”. I primi tratti che ho descritto della
sua personalità sono quelli che ne hanno fatto un mistero per molti, che
non lo compresero, si ché avvertirono e tuttora avvertono una certa
“distanza” e freddezza da parte sua. C’è poi il Rav Laras che conosciamo
io e altre persone, a cui siamo legati per vincoli di affetto,
amicizia, stima e studio, per cui, come è noto, ha-ahavah meqalqeleth et
ha-shurah (l’affetto altera il giudizio).
Sono tre i grandi cammei, certamente veri, ma assai incompleti e
decontestualizzati, con cui i più, ebrei e no, si riferiscono al Rav:
I. Rav Laras “il Sopravvissuto” a una delle tante atroci storie
“private”, dall’esito drammatico, della Shoah, ove perse, vedendole
scomparire per sempre dai suoi occhi, sua mamma e sua nonna; lui,
fuggitivo solitario di notte, ancora bambino, dalla Torino della guerra,
che perse per lo shock la parola per alcuni mesi;
II. Rav Laras l’ “uomo del Dialogo”, circa il dialogo ebraico-cristiano
in particolare, di cui è tra i precursori, tra gli interpreti più
coraggiosi e tra i maggiori araldi e animatori, ma anche in relazione al
difficile dialogo interreligioso con l’Islàm, dato che fu lui a
inaugurare e tenacemente mantenere i rapporti con la CoReIs prima e con
alcune altre associazioni culturali islamiche poi, ivi inclusa la
partecipazione agli incontri della Conférence Européenne des Imam et des
Rabbins, invitato dall’allora Grande Rabbino di Francia -suo caro
amico- Rav R. S. Sirat;
III. Rav Laras “il Professore”, docente universitario a Pavia e a
Milano, dopo il successo negli studi di giurisprudenza prima (dove ebbe
per docenti Norberto Bobbio e Stefano Rodotà) e di filosofia poi (dove
studiò con Nicola Abbagnano e Mario Tronti).
Per cercare di capire Rav Laras, tuttavia, volenti o nolenti, dobbiamo
inquadrare -e restituire- il suo profilo principale, il più delicato,
che gli è costato non pochi oppositori, detrattori e nemici, ossia Rav
Laras “il rabbino”, il che è inscindibilmente anche correlato alla sua
attività di studioso del pensiero ebraico e di animatore italiano del
Sionismo.
Per sintetizzare, ma con il rischio di banalizzare, sono due i caratteri
principali alla base della sua attività rabbinica: un ponte, anche
biografico, tra ebraismo italiano e mondo sefardita –specie per quanto
concerne la Halakhah e il rapporto Torah-Madda-, ove per mondo
“sefardita” non si intende quello orientale e nord-africano, bensì i
grandi centri spagnolo-portoghesi di Livorno, Venezia, Ferrara, Ancona,
Amsterdam e Londra. E Rav Laras, pur essendo torinese per nascita e
formatosi alla scuola di Maestri dell’ebraismo italiano, è anche di
origine livornese, dunque di quel particolare mondo sefardita, come
spesso lui stesso orgogliosamente rivendica; in secondo luogo, una linea
mediana ortodossa tra “interno” e “esterno”, tra studi profani e studi
religiosi, che gli ha alienato il (dubbio) privilegio di una claque di
sostenitori, trovando resistenze sia tra alcuni laici –specie quelli
liberal e radical chic- sia tra alcuni religiosi, in particolar modo se
pseudo-tali o poco preparati.
Rav Laras ha avuto il privilegio di ascoltare le lezioni di una delle
massime autorità ashkenazite del ‘900, il Rav Yechiel Ya‘aqòv Weinberg,
autore della fondamentale opera di Halakhah “Seridé Esh”, con cui ebbe
più volte occasione di studiare, recandosi spesso anche in Svizzera alla
Yeshivah di Montreux (con Weinberg studiarono, tra gli altri, Rav E.
Berkovits e il Rebbe di Lubavitch). Rav Weinberg insegnò presso il
seminario rabbinico ortodosso berlinese Hildesheimer, succedendo a un
altro grande posèq del Novecento, Rav Davìd Hofmann, autore dell’opera
di Halakhah Melammed le-Hoìl, su cui il compianto Rav Dario Disegni –tra
i principali e più cari Maestri di Rav Laras- faceva allora studiare ed
esercitare i giovani talmidìm della Scuola Rabbinica Margulies di
Torino, da lui fondata. Va specificato che Rav Hofmann fu allievo
diretto del Rav Azriel Hildesheimer, entrambi fautori di una ortodossia
ebraica disposta ad affiancare positivamente lo studio approfondito
delle discipline profane (scientifiche, giuridiche e filosofiche) allo
studio della Torah e delle fonti tradizionali.
Riconnettersi idealmente -pur con le mille differenze, talora anche
molto pronunciate, che contraddistinguono queste voci del mondo
ortodosso ashkenazita- a Maestri quali Hofmann, Hildesheimer e Wienberg,
significa, come è stato per Rav Laras, frequentare e conoscere per
tangenza le opere di altre autorità rabbiniche ashkenazite dell’ ‘800 e
‘900 quali Shimshon Raphael Hirsch e Yitzkhaq ben Ya‘aqòv Reines (tra i
padri del Sionismo religioso), giungendo sino alle voci della Modern
Orthodoxy americana dei rabbini E. Berkovits e di J.D.B. Soloveitchick.
Ma Rav Laras è anzitutto un rabbino italiano e la guida principale dei
suoi studi fu il già ricordato rabbino capo di Torino Rav Dario Disegni,
rinnovatore e promotore degli studi rabbinici in Italia nel secondo
dopoguerra, assieme a Rav Elia Samuele Artom, con cui studiava Talmùd la
mattina presto prima di andare a scuola, e, quando una mattina per caso
il giovane Giuseppe era in ritardo per la sveglia, la mattina
successiva Rav Artom anticipava la lezione alle quattro. Rav Laras –in
privato lo ricorda spesso- crebbe studiando con Rav Dario Disegni, il
quale voleva e si raccomandava che i “suoi” rabbini fossero buoni e
preparati hazzanìm (cantori sinagogali), valevoli shochatìm (macellai
rituali) e, quindi, tutto ciò premesso, avveduti e potenzialmente
autonomi rabbanìm (rabbini), meglio se anche laureati, come auspicava.
La “linea” di Rav Disegni, che appunto prevedeva, tra gli altri, il
riferimento ad autorità halakhiche quali David Hofmann, era quella
invalsa da secoli presso il rabbinato italiano, che ebbe come massimi
interpreti nell’800 i grandi Maestri I. S. Reggio, S. D. Luzzatto ed E.
Benamozegh. Tuttavia la tradizione ebraica italiana, ben prima dei
Maestri appena ricordati, già da alcune centinaia di anni, accostava,
pur se non sempre pacificamente, agli studi religiosi tradizionali,
quelli scientifici e filosofici. Si pensi così a Autorità halakhiche
riconosciute in tutto il mondo e ben studiate da Rav Laras, quali
Ishmael ha-Cohen (Laudadio Sacerdoti, XVIII sec.) e ai suoi responsi
(Zera Emeth); a Yitzkhàq Lampronti (XVII-XVIII sec.), autore del Pachàd
Yitzkhàq –la prima monumentale enciclopedia halakhica al mondo-; al
grande Malachì ha-Cohen (XVII-XVIII sec.), talmudista insigne autore del
celebre scritto Yad Malachì, uno dei primi grandi dizionari talmudici; a
Shimshòn Morpurgo (XVII-XVIII sec.), autore del noto testo di Halakhah
Shemesh Tzedaqà; a Moshè Zaccuto noto come Remaz (XVII sec.), a Leon da
Modena (XVII sec.) e alle sue teshuvoth, a Ovadyah Sforno (XV-XVI sec)e a
Ovadyah da Bertinoro (XV-XVI sec.). Si tratta per lo più di Maestri che
in genere seppero coniugare, pur con diversa intensità, la Halakhah con
la cultura scientifica e umanistica loro contemporanea.
È chiaro che vi è un precedente, un archetipo sefardita per eccellenza
in relazione a tutto ciò, pur tra le mille difficoltà che sorgono e
sempre sorgeranno in relazione alla sua comprensione, il Rambàm, Mosè
Maimonide. E Rav Laras è appunto un insigne studioso del pensiero di
Rambàm. Tuttavia, anche per davvero comprendere la passione maimonidea
di Rav Laras, occorre fare un’incursione nel mondo della Halakhah. Il
motivo è che –come ricorda spesso Rav Laras- pur conoscendo, recependo e
apprezzando lo Shulkhàn ‘Arùkh di Rav Yosef Caro, gli italiani in
genere tradizionalmente erano soliti apprendere e insegnare la Halakhah,
al pari degli yemeniti, riferendosi in primis a Maimonide e alla sua
opera di codificazione, il Mishneh Torah. Così gli fu insegnato e così
gli venne confermato da due celeberrime autorità rabbiniche sefardite
con cui ebbe modo più volte di studiare: da giovanissimo, seppur in
poche occasioni, con Rav Bentziòn M. Hai ‘Uzziel, Rabbino Capo sefardita
di Israele e autore dell’importante e celebre opera di Halakhah
Mishpeté ‘Uzziel, che lo interrogò proprio sul Maimonide,
raccomandandogli, in quanto italiano e sefardita, di basarsi in primis
su Rambàm; successivamente, con l’amico e maestro Rav Yosef Kappakh (o
Kafikh), autorità halakhica yemenita, traduttore e curatore
contemporaneo dell’opera di Maimonide, anch’egli sostenitore della
“vicinanza” tra italiani e yemeniti nella ricezione della linea
maimonidea nei saperi e nella Halakhah. Non è dunque un caso, ad
esempio, che Rav Laras sia inoltre legato da vincoli di amicizia al noto
intellettuale israeliano e grande studioso di Maimonide Aviezer
Ravitzky.
Quando si tratta di Maestri contemporanei nell’ambito della Halakhah,
chi conosce Rav Laras sa che egli ama rifarsi, oltreché a Rav ‘Uzziel, a
Rav Hayyìm David ha-Levì e al suo caro amico e insigne autorità
halakhica, scomparso nel 2003, Rav Shalom Messas, all’epoca Rabbino Capo
di Gerusalemme.
Vi è ancora un nome, molto celebre in Francia e ancor più in Israele,
tra i Maestri di Rav Laras, quello di colui che più lo ha ispirato
assieme a Rav D. Disegni, il grande Rav Leon Ashkenazi, di cui fu a
lungo allievo e amico, sino agli ultimi giorni di vita di Manitou, come
era chiamato dai suoi discepoli. E con Leon Ashkenazi,
obbligatoriamente, si deve parlare di pensiero ebraico.
Rav Laras, almeno in Italia, è tra i pochi ad aver conosciuto
personalmente, incontrandoli in più occasioni, Martin Buber e lo
scrittori Shemuel Agnon. Il Rav, inoltre, ha avuto modo di studiare,
formarsi, incontrarsi e confrontarsi a lungo con tre pilastri del
pensiero ebraico del ‘900, per lo più ignoti in Italia: Nechama
Leibovits, Shemuel Hugo Bergman e Nathan Rotenstreich.
Vi è, infine, un’altra amicizia intellettuale di cui è necessario e
fondamentale rendere conto, quella tra Rav Laras e lo scomparso Meir
Benayahu, figlio del Rabbino Capo di Israele Yitzkhaq Nissìm (con cui
Rav Laras ebbe anche modo, seppur fugacemente, di studiare Halakhah).
L’amicizia con Meir Benayahu è documentata da alcuni articoli a quattro
mani, tramite i quali, Rav Laras entrò anche in contatto, come
testimoniato da una corrispondenza, con Ghershom Scholem, che gli fece
alcuni appunti, dandogli preziose indicazioni di studio e di ricerca.
Ritroviamo, da ultimo, Rav Laras in alcune voci da lui redatte in quel
grandioso monumento letterario della cultura ebraica che è la
Encyclopedia Judaica.
Chi scrive ha raccolto con fatica in vari anni, nei rari momenti
(pochi) in cui Rav Laras si è “sbottonato” circa i suoi studi e le sue
frequentazioni intellettuali, queste preziose informazioni, altrimenti
scrupolosamente occultate dal Rav che è molto restio circa i suoi fatti
privati, cercando adesso di restituire al lettore il complesso puzzle
della biografia rabbinica di Giuseppe Laras.
Ci sarebbe forse anche da aggiungere che Rav Laras ha ordinato molti
rabbini; che il padre Samuele Guglielmo non voleva che facesse il
rabbino (obbligandolo così prima a laurearsi in Giurisprudenza); che
Leon Ashkenazi lo considerava una schiappa a calcio; che, infine, è
stata la moglie, la Signora Elena Ester, a incoraggiarlo a studiare
medicina come terza laurea, cosa che però il Rav dovette alla fine
dissuadersi dal fare.
Essendo giunto alle conclusioni, vorrei articolarle in tre brevi snodi.
Il primo riguarda Rav Laras in quanto autorità rabbinica e Maestro
dell’ebraismo italiano contemporaneo, tra gli ultimi eminenti esponenti,
noti e apprezzati anche all’estero, della “linea italiana”,
profondamente ancorata alla Tradizione e a questa dichiaratamente
fedele, pur al contempo apprezzando l’apertura positiva e intelligente
verso il mondo e la cultura esterni. Un modello di religiosità e di
osservanza, quello proposto e vissuto dal Rav, poco incline a modernismi
alla moda, come pure a rigorismi e a lassismi entrambi troppo facili
per quanto opposti, eppure a suo modo elastico, alla ricerca –talora
inquieta- di una maimonidea via mediana.
Il secondo snodo riguarda Rav Laras in quanto interprete e studioso del
pensiero ebraico. Rav Laras è tra i pochissimi che sappia davvero di che
cosa si stia parlando, e uno dei suoi scritti più recenti “Ricordati
dei giorni del mondo” ne rende ampiamente testimonianza. Rav Laras è
infatti l’unico in Italia che poteva permettersi legittimamente di
incrinare, come in parte sta cercando di fare, l’invalso trend di
collegare il pensiero ebraico in primo luogo e unicamente al mondo della
filosofia greca e occidentale in genere, piuttosto che a quello della
Halakhah. Rav Laras sta così dando a molti intellettuali italiani
-ebrei, cristiani e non credenti- un avvertimento culturale, sia per
contenuti sia metodologico, circa la comprensione limitata -e dunque
falsata ed erronea- del pensiero ebraico (specialmente moderno e
contemporaneo) se sulla base principalmente delle opere, pur importanti e
imprescindibili, di alcuni pensatori ebrei del Novecento molto noti (H.
Cohen, L. Baeck, F. Rosenzweig, M. Buber, A. J. Heschel, E. Lévinas),
che però sono per lo più abbastanza distanti dall’autocoscienza e dal
generale sentire degli ebrei osservanti e dei rabbini, sia in Italia sia
nel resto della Diaspora sia in Israele. Circa questo secondo snodo,
infine, va detto che Rav Laras, anche per quel che concerne il Dialogo
interreligioso ed ebraico-cristiano in particolare, ha insistito e
continua a insistere sulla centralità di un positivo, continuo e
costruttivo riferimento al pensiero sionista.
Il terzo e ultimo snodo riguarda cosa di lui ebbe a scrivere un suo caro
amico cristiano, che non potevo non menzionare, il card. Carlo Maria
Martini, che così si espresse in una lettera che mi inviò alcuni anni
fa: “Sono stato vicino all’impegno del Rav Giuseppe Laras per almeno
ventidue anni, e anche in seguito ho potuto incontrarlo e godere della
sua bontà e amicizia. Ho sempre visto in lui un vero gentiluomo, pieno
di rispetto e di riserbo, ma insieme un uomo di profonda preghiera, un
conoscitore esperto delle Sacre Scritture, un servitore di Dio e del Suo
popolo”. Parimenti, così gli scrisse recentemente Rav Jonathan Sacks,
emerito Grande Rabbino di Inghilterra e del Commonwealth: “It has been a
great privilege knowing you these past years, and knowing how blessed
the Jewish people is to have spiritual leaders like yourself. You are a
man of wisdom, tolerance and great generosity of spirit, and may Hashem
continue to bless all you do.”
Per concludere, vorrei finire con una frase sintetica che Rav Laras
usa spesso per introdurre il pensiero di uno dei più grandi Maestri di
Israele di tutti i tempi, il cui studio molto ancora lo appassiona,
Sa‘adyah Gaòn: “per ben credere occorre saper ben ragionare”. Credo che
questa frase fotografi, a più livelli, e anche in filigrana, molto di
Rav Laras.
‘Ad meah ve-‘esrìm, Rav Yoseph!